Il nome

Esus, il dio celtico della guerra, è all’origine del toponimo del fiume Esino, sulle cui rive si presume sia sorto in età romana il primo insediamento, Aesa. Dal Medioevo alla fine dell’ Ottocento si chiama Santa Anatolia, in onore della Santa Patrona, martire del III secolo d.C. Nel 1862, dalla combinazione di Aesa e Anatolia, fu coniato l’attuale nome Esanatoglia.

 

La storia

Secondo la leggenda, Esus, il Dio celtico della guerra, sarebbe all’origine del nome del fiume Esino, sulle cui rive si suppone che sorgesse una comunità in epoca romana, chiamata “Aesa”.
Sono stati ritrovati come rinvenimenti di superficie evidenze di attività umane risalenti al Paleolitico in località Monte Sant’Angelo, al Neolitico in località Piani di Calisti e all’Eneolitico in località Crocifisso-Case Popolari.
L’attuale nome di Esanatoglia nacque nel 1862, dalla combinazione tra Aesa e Anatolia, rimpiazzando così il nome del castrum medioevale Santa Esanatolia, derivante dalla martire del III secolo d.C. Il primo documento noto riguardante Santa Anatolia risale al 1015, a proposito della fondazione del monastero di Sant’Angelo infra hostia da parte del conte Atto e sua moglie Berta. Il monastero divenne presto il più importante insediamento religioso della zona.
La città fu governata dai Malcavalca fino al 1211, anno in cui subentrarono gli Ottoni di Matelica. Tre anni dopo, e per tre secoli, la potente famiglia da Varano di Camerino governò sulla città. Sotto i Varano la città di Santa Anatolia mantenne una certa autonomia: la prima collezione di norme statutarie riporta la data del 1324. La cittadella rimase immune da guerre e saccheggi per molto tempo; solo nel 1443 fu conquistata da Francesco I Sforza, aiutato dai matelicesi: il Monastero di Sant’Angelo – con la sua famosa biblioteca – non fu salvato dalla devastazione.
Nel 1502 il castrum divenne parte dello Stato della Chiesa.

La struttura urbanistica di Esanatoglia si avvicina più al modello cittadino che a quello rurale, nonostante l’economia facesse perno sull’agricoltura. Il castello era diviso in tre quartieri interni alla prima cerchia muraria dell’XI-XII secolo – la Pieve, il quartiere di Mezzo e quello di San Martino – e uno esterno – Sant’Andrea, articolato nei due borghi di Santa Caterina e San Rocco – inglobato nella seconda cerchia muraria all’inizio del XIV secolo. La difesa era affidata alla rocca e alle altre fortificazioni più lontane dalle mura: la rocca di Santa Maria in Monte che dominava la valle del Passo di Palazzo (nell’odierna località Fonte La Torre); quella sulle pendici del Monte Corsegno dove l’eremo di San Cataldo vigila silenzioso sul borgo; e la terza di cui non restano tracce. Si accedeva alla cittadella fortificata attraverso quattro porte: Panicale, del Mercato, Portella e Sant’Andrea. La porta del Borgo, che faceva parte della prima cerchia di mura, fu inglobata nel nucleo fortificato contemporaneamente al quartiere Sant’Andrea. Lungo l’attuale via della Portella si svolgeva, già nel XIV secolo, il traffico delle merci, parallelamente alle mura e al fiume.

Cosa vedere

Vista dall’alto, Esanatoglia sembra accudita dai sette campanili che percorrono il corso Vittorio Emanuele, l’asse viario principale, da porta Sant’Andrea alla parte alta, porta Panicale, da dove si esce verso l’intatta valle di San Pietro. Racchiuso dalle mura castellane lambite dal fiume Esino, il borgo si dispone come una sorta di fuso, innestato di vie secondarie che portano ai rioni, ognuno con la propria piazzetta.
Nella parte più antica svetta con il suo campanile la pieve di Santa Anatolia,  citata dalle fonti già nel 1180. Presenta uno splendido portale in pietra trecentesco e un’epigrafe romana posta sul basamento della torre campanaria che, secondo gli storici, sarebbe la prova di un insediamento romano al tempo delle conquiste di Augusto.Nelle vicinanze, Palazzo Varano, attuale sede del Municipio, conserva una tela interessante, La cacciata dei diavoli da Arezzo e singolari pitture a scialbo raffiguranti una parata di cavalieri della famiglia Varano. Nell’adiacente ex Chiesa di San Francesco sono conservati gli affreschi trecenteschi  del “Maestro di Esanatoglia”  Diotallevi di Angeluccio, tra cui una pregevole Madonna del Latte, distaccati dalla Chiesa dei SS. Cosma e Damiano. Scendendo in basso, le  Fontane di San Martino, una volta chiamate Fonti di Fuori Porta, rappresentano un raro esempio di opera idraulica trecentesca ancora funzionante.  La chiesa di Santa Maria Maddalena custodisce un pregevole dipinto, la Crocifissione, sull’altare maggiore, due nature morte di origine fiamminga e una cantoria lignea istoriata e dipinta con scene della vita dei Santi, dove sono ancora presenti le grate che impedivano alle Clarisse di essere viste. Fuori paese, la chiesa di Santa Maria di Fontebianco racchiude un’edicola campestre con affreschi della Vergine Maria e Bambino, opera giovanile  di Diotallevi di Angeluccio. Pregevoli tele Seicentesche sono custodite nell’ex Monastero di Fonte Bono, poi dei Cappuccini, a mezza costa di Monte Corsegno.

Sulla piazzetta Cavour prospettano quattro insigni edifici: il palazzo detto delle Milizie, fortificato nel XIV secolo e un tempo collegato alla rocca del castello con un camminamento; il palazzo del Podestà, il cui pianoterra veniva utilizzato come mercato coperto; il palazzo Zampini, già ospitante arredi futuristi di Ivo Pannaggi, unito alla chiesa di Santa Maria, che conserva tracce di affreschi di Diotallevi e la grande tela della Crocifissione dei fratelli De Magistris di Caldarola (1565).